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Come mi presi cura della nuova famiglia

04/08/2017

Dopo che accettai di assumermi l’impegno con la colonia, sebbene non lo abbia mai detto a voce, sapevo che avrei fatto qualsiasi cosa per quei gatti. Persino umiliare me stesso, cosa che finì col succedere. Ne sapevo di astrologia, quel tanto che bastava per essere pericoloso. Eravamo sul finire degli anni Novanta e un giorno, a pranzo con un amico, mi lasciai sfuggire una breve osservazione. Gli dissi che, basandomi sull’allineamento dei pianeti di quel periodo, sentivo che l’indice NASDAQ era salito a picco e che gl’investitori avrebbero dovuto liquidare le loro posizioni o accorciare il mercato (una tecnica che consiste nel far soldi su azioni che stanno per scendere). Quel commento passò di bocca in bocca fino ad arrivare alle orecchie di un manager di Hollywood esperto in finanza. Presto il mio telefono cominciò a squillare. All’altro capo del filo c’erano persone di spicco che volevano i miei consigli.

Cercai di smorzare la cosa, confessando di essere un dilettante, ma presero la mia ritrosia per modestia. Quanto si sbagliavano. Ma i gatti dovevano mangiare, perciò quello che feci fu offrire loro delle letture. Improvvisamente ero dentro. Avevo trovato la chiave per entrare da una porta fino a quel momento riservata all’élite di Hollywood. Non ero riuscito a varcare la soglia come sceneggiatore ma come astrologo dilettante. Fu una svolta negli eventi talmente hollywoodiana da farmi quasi strozzare dalle risate. Oltre che per le letture individuali, venivo ingaggiato alle feste di Hollywood per interpretare temi natali. Ai party cui avevo partecipato fino ad allora, l’unico modo per riuscire a vedere le stelle era prendersi un pugno in faccia. Adesso invece era come trovarsi sulla Via Lattea.

Una volta i padroni di casa mi fecero persino indossare un turbante. Nel bel mezzo di una lettura per un aspirante attore che in seguito vinse un Oscar, una seducente attricetta che era rimasta sdraiata sul letto a osservarmi si allungò e mi attirò a sé, stringendomi tra le gambe senza mollare la presa. Ma di leggere le mie sceneggiature manco a parlarne! Tutto questo però mi procurò un’udienza privata in un lussuoso appartamento affacciato sull’Oceano Pacifico, ai piani alti di una casa cinematografica, con un produttore che aveva vinto diversi Oscar. Per una qualche ragione, la carta indicava che quell’uomo avrebbe avuto non so quale tipo di problema alla bocca. Poteva trattarsi di mal di denti? Qualcosa alla mandibola? No, qui l’influsso proveniva da Marte, perciò era legato al sangue. Le gengive forse? Lui negava ogni cosa. Ah, alla fine la mia copertura era saltata. Grazie a Dio.

Ma proprio mentre stavo per sgattaiolare via dalla stanza, con un atteggiamento quasi di vergogna, mi cadde l’occhio su alcuni rivoletti di sangue che uscivano dalla bocca del produttore e che di tanto in tanto lui ripuliva con un fazzolettino bianco che diventava color cremisi. Lo guardai negli occhi. “Sì?” chiese. “Niente.” “Cosa?” insistette. “Be’, potrebbe essere quello il sangue dalla bocca di cui stavo parlando?” “No, no, no, questa è un’allergia. Ce l’ho da sempre.” Benissimo allora. Dopo la lettura, mentre ci scambiavamo dei convenevoli, accennai all’affascinante progetto cui stavo lavorando e di cui possedevo i diritti a vita. Gli sarebbe interessato saperne di più? “Uhm, no.” Poi però seguì l’invito a recarmi negli studi di una major cinematografica per fare una lettura al direttore degli effetti speciali. Voleva sapere solo una cosa: la fattibilità di un progetto per la cui produzione lo studio aveva già speso dieci milioni di dollari.

Quando mi comunicò la data in cui avevano siglato l’accordo di collaborazione seppi per certo, proprio come mi era successo con il NASDAQ , che quel progetto era spacciato. Il giorno in cui aveva firmato il contratto era stato un momento terribile dal punto di vista astrologico, c’era persino da stupirsi che quel giorno fosse sorto il sole. Gli dissi di cercarsi con calma un altro progetto da seguire, perché potevo garantirgli con assoluta certezza che quello sarebbe stato rimandato. Mi chiese se fosse definitivamente morto e gli dissi di no, sentivo che avrebbe ripreso vita da lì a un anno e mezzo circa, ma che i profitti non si sarebbero nemmeno avvicinati a quelli che speravano di ricavare. Gli consigliai inoltre di delegare la responsabilità a qualcun altro, così la colpa di un fiasco non sarebbe ricaduta su di lui. Venne fuori che, un mese dopo il nostro incontro, lo studio aveva staccato la spina al progetto. Seguendo il mio consiglio, l’uomo era passato felicemente a un altro film, portando con sé il proprio staff. Era sollevato. “Come posso ringraziarti?” mi chiese. “C’è qualcosa che posso fare per te?”. “Vorrebbe leggere la mia sceneggiatura?”. “Uhm, no.” Ma un anno e mezzo dopo (quando il progetto originario per quel film riprese, in effetti, vita), il manager che aveva seguito il mio consiglio di delegare la produzione ad altri (su cui ricadde la colpa di aver prodotto un film dall’incasso deludente) mi mise in contatto con il responsabile di una grande casa cinematografica che avrebbe potuto far vedere la luce alla mia sceneggiatura. Reduce dal più grande colpo della sua lunga e ricca carriera, quell’uomo aveva carta bianca per produrre qualsiasi film volesse. S’innamorò del mio progetto, e il fatto che fosse basato su una storia vera lo rendeva ancor più affascinante ai suoi occhi.

Ciò mi portò a fare un viaggio a San Francisco per leggere il tema natale a un impiegato di George Lucas. Dopodiché fui invitato allo Skywalker Ranch, nella Contea di Marin, per assistere al montaggio finale dell’ultimo prequel di “Star Wars”, “La vendetta dei Sith”. La tenuta era magnifica, immersa nel verde, tra alberi e colline ondulate. Il casale principale era un vero e proprio museo dei film di George Lucas, dove si trovavano in bella mostra costumi e arredi di scena, comprese le spade luminose del primo film della saga. Anche la biblioteca con la volta in vetro istoriato era un’attrazione. Mi convinsi che quello fosse un posto meraviglioso in cui lavorare, dal momento che ogni singola persona accanto a cui passavo aveva un sorriso perennemente stampato sul viso. La settimana successiva fui invitato alla proiezione privata della “Vendetta dei Sith”, per i dipendenti della Lucasfilm e per i loro familiari e amici. Più tardi, quel giorno, partecipai alla maestosa inaugurazione della nuova sede della Lucasfilm a San Francisco, nel Presidio, vicino al Golden Gate Bridge.

La visita della struttura e delle mostre allestite per l’inaugurazione fu per me straordinariamente emozionante, così come un pranzo in cui a ogni tavolo sedevano VIP, la crème delle celebrità, compreso lo stesso George Lucas. Ah, gli antipasti ci furono serviti da alcuni robot! Sulla strada del ritorno verso Los Angeles, mi resi conto che le persone potenti di Hollywood non apprezzavano tanto l’astrologia quanto la mia onestà. Potevo dire loro cose che nessun altro avrebbe osato dire. Non avevo paura perché stavo leggendo i pianeti, non era un fatto personale. Se gli avessi dovuto descrivere il mio progetto avrei avuto la tremarella. Invece restavo perfettamente padrone di me mentre dicevo a un influente broker di Hollywood che fondamentalmente non aveva alcun potere, come feci una volta. La loro arroganza era una copertura per la profonda mancanza di sicurezza interiore, ed erano circondati da persone compiacenti che dicevano sempre di sì.

Nessuno parlava loro a quel modo. I miei interessi non erano in gioco, perciò potevo dire quello che vedevo. Riflettevo sulla mia buona sorte nell’aver finalmente avuto accesso a quel mondo e nell’essermi trovato fianco a fianco con persone famose. Cenai al ristorante con le celebrità di punta e andai a trovarle a casa loro. Guardai il “Tonight Show” dal backstage, gironzolando casualmente nei camerini e chiamando tutti quelli che mi venivano in mente per vantarmi di dove mi trovavo mentre spizzicavo uva da ciotole piene di frutta succulenta. Annoiato, mi avventurai nella sala di un teatro di posa dove stavano girando un importante film e ritornai in tempo per la fine dello spettacolo e salutare il conduttore Jay Leno e il leader della band di accompagnamento, Kevin Eubanks, facendo loro i complimenti per il grande show. Jay e gli altri accettarono le congratulazioni con sguardi ironici, ma morivano dalla voglia di chiedermi: “Tu chi sei e cosa diavolo ci fai qui?”. Ma quel bagliore svanì rapidamente quando tornai con i piedi per terra e conclusi che non ero più vicino di prima all’irruzione in quel mondo. Ero solo una meteora.

Avevo un visto temporaneo che poteva essere revocato in qualsiasi momento. Il mio telefono poteva smettere di suonare l’indomani, cosa che effettivamente accadde. Un amico mi disse che era meglio così. Hollywood mi avrebbe distrutto, diceva. “Saresti finito con tre ex mogli che ti avrebbero spremuto fino all’osso, un nugolo di bambini maleducati e sei ulcere.” Pensai che avesse ragione, ma che strano modo di andarmene. Il desiderio è una forte leva ma anche una trappola. Ho conosciuto un maestro spirituale che descriveva il desiderio come fame: masticare l’osso della vita, inseguire tutto ciò che pensiamo ci farà sentire soddisfatti; ma, alla fine dei conti, ormai da tempo non c’è più carne attaccata all’osso, e quello che assaporiamo non è altro che il nostro stesso sangue che sgorga quando le schegge ci tagliano le gengive.

Mi resi conto di aver vissuto nell’immaginazione e di aver costruito castelli di sabbia nell’aria, spinto dagli otto dharma mondani: speriamo di essere apprezzati e abbiamo paura delle critiche; cerchiamo la fama e il successo e abbiamo paura di cadere in disgrazia; vogliamo conquistare una cosa e abbiamo paura di perderla; aspiriamo alla felicità e abbiamo paura dell’infelicità. Rientrai tardi da San Francisco quella sera e non vedevo l’ora di stare all’aperto, in mezzo alla boscaglia, con la mia famiglia: un manipolo di gatti selvatici. Il genere di successo cui davo la caccia nel mondo del cinema era effimero, ragionavo nell’aria densa della notte. In verità appartenevo a quel luogo, al fitto sottobosco dove vivevano i miei compagni.

Ovviamente non mi fu difficile giungere a quella conclusione visto che non avevo altre opzioni. Malgrado l’astrologia fosse inebriante, l’interesse che suscitava era intermittente e ciò non mi permetteva di pagare le bollette, e le spese per il cibo e per il veterinario andavano accumulandosi. Poi un virus si propagò tra un gruppo di gattini selvatici che avevamo salvato e che dovettero restare in ospedale con la flebo per una settimana. Vediamo, cinque gatti in terapia intensiva per cinque giorni. Quella sera pensai che forse dovevo iniziare a prostituirmi. Meditando seriamente su quella possibilità, mi venne un’idea migliore. La borsa merci. Una cosa che avevo già fatto in passato. Per quanto possa sembrare impossibile, sono meglio come broker dilettante che come sceneggiatore o astrologo dilettante. Commerciare energia, metalli, capi di bestiame, carne e prodotti agricoli con un sistema di forte indebitamento è come camminare su una corda sospesa nel vuoto senza rete di protezione. Sono caduto faccia a terra più volte di quante mi piaccia ricordare, e in ultima analisi ho capito che non ero meglio di un giocatore d’azzardo degenere che si autodistrugge continuando a fare scommesse sbagliate. So che i miei broker parlano ancora oggi dei commerci che mettevo in piedi. Commerci finiti male. In effetti sono convinto che, ogni volta che ne avviavo uno, l’intero settore prendeva la direzione opposta. Mi sono sbagliato talmente spesso da diventare un indicatore economico al contrario. La borsa merci è pericolosa. Il rischio di una perdita può essere notevole.

Per un investimento relativamente piccolo, diciamo cinquemila dollari, ci si può indebitare per cifre molto elevate, anche centomila dollari. Ti va a finire bene se sei dalla parte giusta dell’affare. Ma se il mercato ti si rivolta contro, devi decidere rapidamente se contenere le perdite o sperare che il mercato torni a sorriderti. In un mercato in rapido cambiamento, ogni secondo, anche se parti da un indebitamento piccolo, può valere migliaia di dollari e anche di più. Mille, duemila, sei mesi di cibo per gatti, che cosa faresti? Cinquemila, settemila, il fondo per le spese veterinarie di un anno… Lo scenario peggiore (o il migliore), a seconda di quale parte rivesti nell’affare, si verifica quando un mercato specifico di materie prime indica il limite di prezzo giornaliero, in alto o in basso. Si chiama “scarto limite”. Allarme gelo nelle piantagioni di caffè. Siccità nelle granaglie. Ghiacciata nelle arance da succo. Morbo della mucca pazza nella carne.

Questi temibili eventi possono far spostare il limite di prezzo giornaliero in un settore. Se per caso possiedi titoli azionari in quelle materie prime è impossibile uscirne, perché le negoziazioni sono chiuse per quel giorno. Se la questione è grave, quel mercato può restare chiuso per giorni, persino settimane. Per esempio, in un mercato volatile, il mercato può aprire per mezzo secondo, viene indicato lo scarto limite e per quel giorno il mercato viene richiuso di nuovo. Non c’è modo né di entrare né di uscire, eppure lo scarto limite è avvenuto in qualche modo. Perciò se il grano chiude con uno scarto limite di quaranta centesimi, ogni giorno quel mercato muove quaranta centesimi, in tuo favore o contro di te, a seconda di quale parte stai. E un movimento di quaranta centesimi nel grano equivale a duemila dollari di titoli. Hai dieci titoli? Stai guadagnando o perdendo ventimila dollari al giorno. Se sei dalla parte sbagliata dell’affare t’informi su quale sia la prima nave mercantile in partenza per l’Alaska. O su come ipotecare la casa e dare in garanzia l’auto, sapendo che le perderai entrambe. Se invece ti trovi dalla parte giusta, sei in estasi. Ogni giorno di scarto limite ti fa guadagnare sempre di più. Anche le strategie di stop loss sui titoli azionari, usati per far uscire gli investitori dalle loro posizioni di debito, sono inutili in caso di scarto limite.

Poi c’è la temuta richiesta di copertura, emessa di primo mattino dalla società di brokeraggio. Se non vuoi avere a pranzo quattro gorilla palestrati e malintenzionati, devi fare un versamento entro la fine della giornata per coprire le perdite. Ma questo sembrava comunque meglio della possibilità di prostituirmi, ragionai. I miei broker risero sotto i baffi quando mi rimisi in contatto con loro. “Certo che ci ricordiamo di te.” Li sentivo ridere in sottofondo, il che non rafforzava la fiducia in me stesso. Guardai la colonia attraverso la zanzariera mentre i gatti si strofinavano l’un l’altro, sapendo che era l’ora della pappa. Alla vista dei sacchetti di cibo vuoti davanti a me interruppi la loro risata per dire che avrei procurato loro mille dollari quel giorno.

Le risate aumentarono: “Non vediamo l’ora.”

           Come un Gatto di Andrew Bloomfield

Tratto dal libro "Come un Gatto" di Andrew Bloomfield
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Giusy

Data: 05/08/2017 09:28

Viene voglia di leggerlo tutto. Molto interessante vedere come nella realtà in fondo viviamo tutti allo stesso modo, solo con consapevolezze diverse!

Pietro

Data: 04/08/2017 12:37

questo libro mi ispira, è molto originale

Sara

Data: 04/08/2017 12:36

Wow sembra un libro molto interessante!